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Kazzenger

Ho appena appreso (Carlino 16.2.2013) che il conduttore di “Voyager” dovrebbe venire a presentare qua il suo ultimo libro. Veramente, con tutte le stronzate che si leggono e si sentono su Milano Marittima, si potrebbe fare un enciclopedia per “Kazzenger”, la sua parodia. Per esempio, ho nelle orecchie lo spot radio che pubblicizza un locale dove viene servito un aperitivo “in stile Milano Marittima”, oppure certe fashion-victims che dicono “sono vestita da Milano Marittima”, quali siano gli ingredienti di tale aperitivo o i vestiti che fanno subito individuare se uno è di Milano Marittima, francamente sfugge e forse davvero servirebbe un’inchiesta di “Cazzenger”. Una volta mentre passeggiavo per Viale Gramsci con un simpatico bastardino, una ragazza vestita da Milano Marittima, mi disse un po’ schifata che il mio non era un “cane da Milano Marittima”. Anche senza essere iscritti all’E.N.P.A. di sicuro possiamo dire questo: a Milano Marittima il Pedigree dei cani è quasi sempre inversamente proporzionale a quello dei padroni. Le famiglie più in vista e blasonate della vecchia e solida élite si distinguono dai “nuovi” proprio perché da sempre hanno in casa cagnetti d’incerta o nessuna razza, indecifrabili bastardini, magari trovatelli o cani adottati nei canili lager del sud. Il giorno 5 Febbraio Sotheby’s di Londra ha venduto il ritratto che Dalì fece alla leggendaria miliardaria americana Mona von Bismarck, la cui fortuna negli anni attorno al 1920 era calcolata in 600 milioni di dollari. Regina dell’alta società internazionale, girava per Capri con un bastardino rossastro: con tutti i suoi miliardi avrebbe potuto permettersi mute di Levrieri, invece. L’indecifrabile meticcio fu battezzato dai cinofili “Capri’s Terrier”. Qui, che siamo molto più alta società, il mio indecifrabile meticcio è stato bollato “cane non da Milano Marittima”. Questo episodio dimostra a quale livello di stupidità e distorsione mentale siamo arrivati dopo un decennio di bombardamento continuo di cazzate vip, glamour e fashion. Nei giorni passati s’é ricordata la morte di un’altro miliardario icona di stile: Agnelli. Visto che siamo (meglio dicono che siamo) “la capitale nazionale ed europea del turismo 5 stelle” (Carlino 20.4.2011) “una località ricercata dai miliardari” (Carlino 18.11.2012) In quanto “capitale indiscussa del jet-set”, cosa potrebbe fare oggi Agnelli a Milano Marittima 2013? La domanda non è campata in aria, perchè nel passato vari suoi congiunti a Milano Marittima venivano spesso, come i conti Nuvoletti-Perdomini e Teodorani-Fabbri (cognati) la contessa Campello e il duca Torlonia (nipoti).

Ebbene, i bar più prestigiosi sono spariti: La Perla, Lo Sporting, il Cluny Bar, il Nuovo Fiore, La Caffetteria e il Caffè Martini. E’ improbabile che un simili-Agnelli possa sedersi sui trespoli dei bari di strada. Com’è impossibile immaginarlo agli Happy Hour a sbraitare sui lettini. Per fortuna è rimasto L’Ottocento, che nonostante il nome, ha una storia relativamente più recente. Impossibile ammazzare il tempo andando a giocare a Tennis o andando a cavallo. I nostri due prestigiosi maneggi, Le Siepi, e Mare Pineta, sono il primo chiuso ed in vendita e l’altro sostituito da palazzine. Quanti ai campi da Tennis che, fino agli anni 90 pullulavano, sono quasi tutti spariti sempre per fare appartementi o parcheggi: solo alla Settima Traversa ne sono spariti tre. Un po’ irritato Agnelli vorrebbe sfogare con un altro sport da “signori”, il Tiro a Volo, ma anche questo sport ha da tempo dato forfait a Milano Marittima. Quando si finisce depressi, si mangia. Peccato che anche in tale ambito blasonati professionisti del calibro di Plazzi della Brasserie e Bolognesi della Frasca abbiano gettato la spugna, pardon il mestolo. E nel 2013/14 altri colleghi di ristoranti storici potrebbero imitarli (Corriere 23.10.2012). Nell’intervista al Carlino del 13.9.2010 Bolognesi (ricalcando analoghe interviste di Luca Goldoni, Peppino Manzi ecc) affermava “Qui mancano locali per persone che amano il bello, servono qualità e stile, invece ci sono solo chiasso, rumore e confusione. Non esistono solo i quindicenni e i ventenni, ci sono anche persone che gradirebbero uscire la sera ed avere un piano bar, un club, insomma un luogo piacevole”. Invece apprendiamo (Voce 9.2.2013) che per qualcuno lo streetfood delle piadinerie è il “vero e proprio biglietto da visita della città” anzi “elemento strategico di promozione”. Domanda: ma come può una cittadina che si vuole glamour e capitale del turismo d’élite, avere poi come elemento promozionale e distintivo, biglietto da visita, nelle piadinerie? Se qualcuno definì la piada “cibo degli Dei”, nessuno oserà dire che sia anche il cibo caratterizzante dei vip: davvero non m’immagino Carolina di Monaco o Lady Diana con piade e crescioni in mano o a discettare se sia meglio metterci lo strutto o l’olio di Brisighella. Non ci risultano simili chioschi in altre località turistiche fashion e del jet-set tipo Gstaad, Cortina, Capri, S. Moritz. Chi scrive è rimasto ad ostriche, caviale ed aragoste, ma evidentemente del glamour di Milano Marittima non capisce niente. Per fortuna, sulla Rotonda affaccia un blasonato ristorante di pesce, che quest’anno ha pure aumentato i prezzi, da 11 a 12 euro: si sa che a Milano Marittima i prezzi sono un po’ proibitivi!

“Milano Marittima compie 100 anni e si fa bella: il glamour romagnolo villeggia qui, tra hotel ridisegnati, gelaterie storiche, concerti e party” questa era una delle frasi che si potevano leggere su “Style” n.7-8 Luglio Agosto 2012, il supplemento al Corriere della Sera. Già dire che Milano Marittima “si fa bella” per il Centenario, è quasi dire che prima non lo era. Tralasciando da chi sia rappresentato questo “glamour romagnolo” villeggiante, si vorrebbe sapere dove si sono tenuti tutti questi concerti e party. Si vorrebbe anche sapere dove l’articolista ha visto le “gelaterie storiche” di Milano Marittima, hanno chiuso tutte. Ma l’articolo riserva altre sorprese, “L’atmosfera d’inizio Novecento ricorre ancora oggi nei decori moreschi e nei dettagli neogotici di molti palazzi del centro e nella fontana delle Quattro Colonne realizzata da Palanti nel 1912″. Ancora ho delle domande: cara giornalista, che tra l’altro scrivi per il quotidiano più famoso d’Italia, ma ci sei stata davvero a Milano Marittima? Dove li hai visti i decori neogotici e moreschi? Dove sono i “molti palazzi del centro”? Da quando la Rotonda 1° Maggio ha 4 colonne? E perchè sarebbe opera di Palanti del 1912 quando invece fu fatta nel 1928 dalla ditta Savini? E’ mai possibile accumulare in poche righe così tante imprecisioni ed invenzioni? L’articolo, che si vuole pubblicitario, è anche corredato da una foto del vecchio ristorante Kalumet. che da anni non c’è più. Quindi, un’altra imprecisione, pubblicizziamo ciò che non c’è più.

Altrove la sostanza c’è invece. A San Remo per esempio sono ancora ben 400 i villini storici protetti. Basta girare per Milano Marittima, specie in Viale Matteotti, per vedere che fino hanno fatto non pochi villini Liberty. Ed i nostri non sono certo iscritti (purtroppo) all’A.N.D.E.L. (Associazione Nazionale Difesa Edifici Liberty). A leggere l’articolo di “Style” più che a Milano Marittima pareva d’essere a Roma, in Piazza Mincio nel quartiere Coppedé, dove effettivamente vari stupendi edifici Liberty fanno da corona alla piazzetta, meta notturna dei giovani come la Rotonda 1° Maggio. E come vicino alla Rotonda noi abbiamo lo storico “Pineta”, presso Piazza Mincio loro hanno lo storico “Piper”. I parallelismi si fermano qui. A Milano Marittima c’è solo una villa che è rimasta tal quale fu concepita e recentemente oggetto di un intervento d’encomiabile filologico, ed è la villa Wanda che fu della contessa Malagola, in Rotonda Don Minzoni.

Ma c’è di peggio di chi ci racconta di ciò che non c’è, si tratta di che vuol farci credere che ha portato a Milano Marittima qualcosa che prima non c’era. Il “gioco” può anche essergli facilitato dal fatto che molta gente ha la memoria corta, e che ormai i residenti “storici” sono pochissimi e non hanno voce. Un architetto che è all’origine di un megaprogetto che ormai da mesi sta facendo discutere la città, ha detto ai giornali (cfr. La Voce 5.1.2013) che la sua opera porterà a Milano Marittima “una nuova piazza verde e pedonale dove camminare”, socializzare, prendere un caffè” per non direi dei trenta negozi e dei duecento appartamenti. A leggere questa cosa, a prescindere se si sia o meno favorevoli all’ennesimo palazzone di cemento, viene da chiedersi: prima di questo progetto mancavano a Milano Marittima “piazze verdi” dove camminare? Mancanvano luoghi pubblici dove socializzare e bersi un caffè? Si potrebbe pensare che prima qui ci fosse il deserto, o no? In cento anno (1912-2012) come abbiamo vissuto d’estate e soprattutto l’inverno? Nelle capanne all’ombra dei pini? Forse qualcuno pensa che a Milano Marittima, oltre agli smemorati, abitino solo i Puffi e Biancaneve ed i Sette Nani? Quanto ai trenta negozi, che dire? Già quelli sotto al grattacielo Royal Palace, che l’architetto Berardi già definiva un palazzone (Voce 4.1.2013), non hanno mai fatto fortuna, non si vede perché dovrebbero averne quelli nuovi della Prima Traversa. E’ risaputo che il viale commerciale di Milano Marittima è il Matteotti, con la propaggine del Gramsci. E anche i viali limitrofi, pur in posizione liminare al centro, cioé i viali Ravenna e Forlì, non hanno mai avuto fortuna come assi commerciali. Perchè quindi la gente dovrebbe arrivare fino all’incrocio tra la Prima Traversa e il 2 Giugno non si sa. E’ altresì sotto gli occhi di tutti quelli che conoscono la storia commerciale di Milano Marittima, che anche Viale Matteotti ha le sue differenze, perché quasi tutti i negozi sono posizionati nel marciapiede lato mare. Sul marciapiede lato pineta praticamente non ci sono negozi, se non dal Canalino alla Rotonda. E’ sempre stato il marciapiede deputato ai ristoranti, vedi Notte e Dì, Gallo Cedrone, Pallino, Baya, Touring, Pescatore.

Infine, riguardo la “piazza verde” promessa, già c’era in quel punto e bella grande, basta visionare questa foto d’epoca che ci mostra una vasta distesa verde.

Kazzenger

Il Conte Ottavio Ausiello Mazzi

Cartoline dal passato

Mentre nella Milano Marittima di oggi si dà caccia al (presunto) vip in quella della mia infanzia e gioventù le persone note cercavano solo discrezione. Essendo in larga parte gente molto conosciuta, e quasi tutti di loro, certo non passavano il tempo a rincorrersi e fotografarsi a vicenda! E anch’io se ci penso, di tanti non ho una foto che sia una, non ci pensavamo. Anche perché c’erano i riservatissimi (come tuttora la figlia di Ettore Muti), chi col suo selezionatissimo “giro” d’amici. Il paese era comunque uno straordinario laboratorio di “social climbing”, basti pensare al tabaccaio possessore d’uno dei più antichi castelli di Romagna, e la discendente decaduta d’uno dei più antichi casati di Romagna fare la manicure per campare. Se il fotografo Ghergo, a suo tempo, immortalò varie signore dell’aristocrazia e della più alta borghesia aventi legami parentali e vacanzieri con Milano Marittima, e la sua èlite (baronessa Berlingieri, principessa Ruspoli Salviati, Marella Caracciolo Agnelli), il Cecil Beaton della mia Milano Marittima, era il fotografo “Nando” (Nando per “noi” a dir la verità) alias il grande fotografo milanese Fernando Cioffi, tutt’ora professionista di fama internazionale, con un curriculum dove s’incontrano Richard Avedon ed Irving Penn. Ritraeva una Milano Marittima al contempo semplice ed elegante, votata al relax e senza affettazioni cafonal come oggi, distante anni luce dai paparazzi e dalle paparazzate che secondo alcuni giornalisti locali sarebbero centro e motore della località. Il negozio di “Nando” Cioffi si chiamava “Foto Blu” alla Quarta Traversa accanto al bar “Tre Gazzelle” dove partiva la gara di moto del circuito di Milano Marittima. Giocavo a Villa De Maria difronte al Caminetto coi suoi nipoti, che sono anche nipoti del grande pillicciaio milanese Lanati, amico di quella Paola Borboni che ebbe nel cervese Fabio Battistini il suo ultimo giovane compagno. Oltre che con la pellicola, si fotografa anche con la mente, la memoria. Ricordo in estate che il mio amico più caro, che veniva sempre a cercarmi era Marco Magli, rampollo della dinastia calzaturiera, la cui madre già allora parlando con la mia aveva avuto parole profetiche su ciò che si avviava a divenire Milano Marittima allineandosi alle località limitrofe (Savio, Pinarella, Cesenatico, ecc..) già preda delle orge del turismo di massa (e difatti vendette la villa per andare nella Sardegna dell’Aga Khan). Un’altra mia amica d’infanzia con radici cervesi ha recentemente contribuito con una bella bimba a perpetuare un’altra dinasty industriale (since 1820) di liquori, pelati e marmellate (Buton e Santa Rosa). Poi conobbi uno dei nipoti di Wanna Marchi, che aveva una nonna fruttivendola per 50 anni a Milano Marittima. La Wanna nazionale era l’opposto dell’immagine televisiva: gentilissima, schiva, all’ascolto del parere altrui. Era molto più sveglio di me, e le prime ragazzine le abbiamo corteggiate insieme. Timido come me, Giovanni Gardini, oggi direttore dei musei diocesani ravennati. Quante volte il nostro pallone finì nel giardino della villa della Giorgetta Ghetti, fra il Cluny e Baldani (oggi vi è un passaggio pedonale con negozi che collega i Viali Milano e Gramsci).  Le sorelle Rosina ed Erma Neri, zie dello studioso Giovanni, avevano vicino allo Sporting un bazar di giocattoli, uno dei più vecchi negozi di Milano Marittima. Ottime enigmiste, sempre pronte allo scherzo, si scambiavano le barzellette con Gino Bramieri (ecco, grazie a loro una foto con lui ce l’ho!). Altro zio era Remo Benini, molto amico di Guareschi.  Invece cercavo in tutti i modi di evitare i biondissimi e terribili pronipotini di Torquato Tasso, che dalla madre avevano ereditato l’illustre ascendenza dalla sorella del poeta, ma purtroppo non la sua solare simpatia contagiosa. Alla Terza Traversa vicino all’albergo della Stella Maris e alle scuole Mazzini, c’era la villa con ampio giardino del grande poeta dialettale romagnolo Bruto Carioli, la cui nipote Anna Carioli era mia compagna di ginnasio. D’estate facevamo gruppo alla sala giochi Hippy.

Quando l’uomo di fiducia di Donna Rachele Mussolini, il quale fra l’altro a Milano Marittima aveva pure aperto un bar alla quinta traversa (Bar Aurelia aperto negli anni 60), seppe da mia madre la mia fissa per i cappelli, mi regalò un sombrero messicano così grande che parevo Miguel Son Mì dello spot del Caffè Paulista versione baby. Morto da poco, penso proprio fosse uno dei pochissimi a ricevere gli auguri da Andreotti (di suo pugno) e a entrare in Vaticano con l’auto personale (che poi guidava da spavento e chissà quante volte l’avranno mandato a farsi benedire, e non certo in Vaticano). Purtroppo, tra i tanti nomi che avrei voluto fare di gente conosciuta di persona, non c’è quello della grande attrice Perla Peragallo, la cui madre aveva la casa di famiglia vicino alla mia. Il che è strano anche visto il fatto che le nostre famiglie avevano amicizie comuni, dalla Callas al numeroso nipotame di Papa Pacelli sparso tra Roma, Milano, Verona e Lugo. E non è molto che sua zia, l’ultranovantenne contessa Susanna Ginanni–Fantuzzi essendo io scapolo (o signorino come dice lei) mi ha simpaticamente proposto di sposarci per “rubare” alla duchessa Cayetana d’Alba il primato delle nozze fra una quasi centenaria ed un giovanotto! Un gioco, una boutade mentre mangiavamo la merenda ma che mi ricorda come ultimamente a Milano Marittima abbiamo visto fidanzamenti inventati solo per scopi pubblicitari, per mangiarci su e finire sui giornaletti delle sciampiste. Ora che è stato riportato in auge ai Magazzini del Sale lo stemma di Papa Innocenzo XI° Odescalchi (Papa e beato come Giovanni-Paolo II°) grazie al Lions Club Cervia Ad Novas ed al gruppo culturale Civiltà Salinara (cfr. Resto del Carlino e La Voce del 18.5.2013) voglio dedicare un ricordo a due carissime amiche della mia famiglia, per tanti anni habitués di Milano Marittima e pronipoti di questo pontefice. Gisela e Daniela erano di sangue misto slovacco, ungherese e tedesco. Gisela, la madre ad 80 anni era ancora una bellissima donna piena di fascino, e vero prototipo di cosmopolitismo mitteleuropeo (parlavano varie lingue e anche l’Italiano). Sua nonna la principessa Geraldina Odescalchi era dello stesso casato del Papa. Vivevano in Germania (Dortmund) dove s’erano rifugiate per sfuggire alle purghe comuniste dell’est, che già avevano ucciso il marito di Gisela colonnello dell’aviazione. Ufficiale dell’aviazione era anche il marito della nota romanziera “Liala” anche lei discendente degli Odescalchi e fra l’altro molto simile a Gisela come aspetto. Alta, severa, religiosissima, sebbene mi volesse molto bene e tenessimo regolare corrispondenza in tre lingue, mi sgridava spesso dandomi dell’ateo solo perché a differenza di lei non andavo a messa tutti i “santi” giorni! Gisela e Daniela avevano anche una parentela con Ida Ferenczy, la dama di compagnia preferita dell’imperatrice “Sissi” d’Austria.

Il Conte che non conta

C’eravamo tanto “Amati”

“Non si capisce il senso dei lavori, trovarsi modifiche improvvise senza che nessuno sia stato messo al corrente del fatto”. E’ uno dei tanti commenti negativi sul cambiamento della segnaletica in zona Amati, ed in prima linea nella protesta dei residenti ci sono membri del consiglio comunale e di quello di quartiere. Per me hanno ragione; però visto che si ritengono residenti di Milano Marittima mi chiedo (anche per le cariche che ricoprono): dov’erano quando c’era da lamentarsi su ciò che inspiegabilmente avveniva in altre parti di Milano Marittima? Come mai un  bel giorno ne parcheggio della Quinta Traversa fra gli hotel Gallia e Lido le righe blu sono diventate bianche? Di solito è l’inverso. Come mai un tratto utilmente transitabile di Viale Romagna fra Viale Milano e Viale Gramsci ad un dato momento è stato pedonalizzato? Come mai la Terza Traversa è recentemente diventata a senso unico quando prima era a doppio senso? Come mai il tratto di Viale Gramsci fra la Rotonda e Viale Romagna rimane pedonale quindi non transitabile anche d’Inverno? Fino all’inizio degli anni duemila si passava e si parcheggiava, e ancora a metà anni 80 era addirittura a doppio senso. Com’era a doppio senso e quindi molto utile per arrivare subito a Cervia da Milano Marittima il Viale Di Vittorio (che è Milano Marittima solo per circoscrizione elettorale recente). Non si lamentò nessuno anche quando arrivati dal Matteotti al Canalino era impedito tirar dritto verso la Rotonda e si era obbligati a svoltare alla Prima Traversa, farsi il Viale 2 Giugno fino al semaforo del grattacielo e tornare indietro su Viale Romagna! Comunque, un bravo ai residenti della zona Amati, o come scrive l’articolista “cosiddetta zona Amati”. Ci risiamo… quella che DAVVERO si chiama “zona” è passata per “cosiddetta”; mentre si danno per esistenti altre “zone” che invero a Milano Marittima non sono mai esistite, se non recentemente per la comodità delle agenzie immobiliari (zona traverse, zona stadio, zona Anello del Pino, Mima nord, Mima alta). La “zona Amati” invece si chiama proprio così perché non era né Cervia né Milano Marittima. Dalle vecchie planimetrie si vede che era una landa acquitrinosa (ancora negli anni 70) con le case Cima e Baruzzi, senza strade né sentieri! Gli si diede il nome di chi iniziò la lottizzazione. Qui costruirono case e villette gli albergatori e bagnini che operavano a Milano Marittima com’era avvenuto per Borgo Malva, dove le denominazioni Malva sud e nord sono successive all’ampliamento.

Lo sanno ormai tutti grazie anche a questo blog che la vera Milano Marittima finiva/iniziava col Canale Madonna del Pino (vedi articolo I veri confini di Milano Marittima) e che solo dopo il 1967 fu aperto il ponticello su Viale Leopardi appunto per collegare la zona Amati a Milano Marittima. Ancora a metà anni 70 una mia conoscente aveva paura a passare la sera dalla zona Amati venendo dalla Bova per andare a lavorare in un hotel di Milano Marittima, proprio perché era ancora una zona buia e marginale. Ricordo io stesso come all’inizio degli anni 80 fosse presentato come segnale di riqualificazione del sito, il caseggiato eretto nell’angolo dove oggi c’è il semaforo fra i viali Milano e Di Vittorio e di fianco all’allora concessionaria Fiat-Innocenti. Era una zona dove farsi una bella casa con giardino a poco prezzo, e per di più tranquilla, come lo è oggi. Quante sere, per sfuggire al caos notturno di Milano Marittima anch’io vado a girare per quelle silenti stradine in bicicletta, infatti nell’articolo del Carlino del 9.1.14 è detta “zona strategica” perché è un isola felice e molto vicina a tutto, per questo la si può facilmente spacciare per Milano  Marittima e quindi vendere a prezzi alti. Quello che, come solito, fa sorridere (ormai non piango più) è come questa zona sia ormai considerata a pieno titolo parte integrante di Milano Marittima mentre parti incontestabilmente e veramente di Milano Marittima sono invece bistrattate sui giornali come “altro” cioè “periferia” (Carlino 5.4.13 riguardo le traverse) e “zona periferia” (Carlino 20.6.13 riguardo Anello del Pino). Quando sappiamo che è li che da sempre sorgono gli alberghi più stellati e le ville più blasonate! Addirittura Viale Gramsci è stato recentemente definito come “un po’ fuori mano rispetto alla Rotonda Primo Maggio” (Corriere 2.12.13).

Il Conte che non conta

Beata ignoranza

Il fotografo Crepaldi si é detto soddisfattissimo per il successo della sua recente mostra, specie fra i più giovani, avidi di sapere cose che nessuno prima aveva mai raccontato loro… Foto che testimoniano momenti di verità che, troppo spesso invece, non troviamo nei libri. Esempio è il libro di 63 pagine scritto nel 2005 da padre Pietro Rossi dei francescani intitolato “Milano Marittima Stella Maris, guida storico-religiosa”. Rossi scrive “Mancava uno studio organico e sintetico sulla sua origine storico-religiosa (riferito a Milano Marittima ndr). Il presente opuscolo si propone di rispondere a questa esigenza”. In primis, è già tanto che un frate dica una grande bugia, perché già nel 1980 padre Geremia Ronconi aveva pubblicato un libretto che, pur con tante mancanze, ripercorreva proprio l’origine della nostra parrocchia di Milano Marittima. Quando si prende in mano una guida, si vorrebbe che ciò che vi è scritto corrisponda al vero. Invece qui è tutto il contrario! Le prime 26 pagine non riguardano Milano Marittima. Nella sua autobiografia padre Pietro rivela essere alla Stella Maris “Solo da pochi mesi”: allora che fretta c’era? Perché non prendersi più tempo e scrivere qualcosa di veramente utile? Nonostante gli auspici (pag. 6) il risultato non è né organico né sintetico. L’auspicata “soddisfazione per chi legge” sarebbe stata raggiunta nel riportare fatti inerenti l’argomento, non un continuo sproloquio e prolissi riferimenti bibliografici a piè pagina. Si dilunga su futilità, poi diventa stringato ed evasivo allorché arriva ad argomenti che sarebbero interessanti! Non cita date, luoghi, nomi: ma che guida storica è? Un esempio eclatante, quando racconta “forse solo pochi sanno che se la Stella Maris è sorta si deve anche all’intervento di Benito Mussolini”. Domanda: se la cosa è sconosciuta e ti prefiggi di renderla nota, perché non la racconti come si deve? Invece Rossi non precisa l’anno, il luogo, i nomi dei vari personaggi coinvolti in questo atto così importante. Vorrei precisare che c’è anche un errore, perché la richiesta al Duce di avere una chiesa per Milano Marittima non avvenne contestualmente all’inaugurazione del Lido, ma alla Rotonda 1° Maggio dove le due pie donne protagoniste della supplica avevano le loro botteghe. Quanto al “personaggio del corteo fascista” é ragionevole identificarlo con Dino ad Murét e non con Quinto Lugaresi che nella nostra città arrivò molto dopo. A pag. 30 e per 3 pagine si dilunga su Palanti manco l’avesse conosciuto di persona: si può parlare per 3 pagine di un uomo per sentito dire? Anche qui, pare un’assurdità che un frate ometta che Palanti fece il ritratto di Pio XI.

Papa Ratti fu estimatore, amico e protettore di un Monsignore della mia famiglia. Ambedue ordinati sacerdoti nel 1922, ambedue appassionati di studi storici ed antichi documenti fin da ragazzini, col manipolo di amici il futuro Papa aveva fatto Capodanno del 1900 in preghiera in cima al Vesuvio (su cui molto scrisse il mio parente), e sua nipote contessa Carla Ratti, ha poi sposato un imprenditore Napoletano. Ancora oggi sono in contatto coi vecchi domestici (pensionati) della famiglia, che quando hanno saputo della processione del Centenario presieduta da Tettamanzi, mi hanno chiesto i manifesti in ricordo dell’importante gemellaggio religioso. Quanti di noi hanno avuto la stessa sensibilità storica?

Tornando a Rossi, sarebbe stato più simpatico un accenno a Giovannino Guareschi, il babbo di “Don Camillo”, che a Milano Marittima era un habitué. Frate Davide è testimone di una mia recente conversazione con un giornalista di un quotidiano locale che, pur scrivendo spesso su Milano Marittima diceva di non aver mai sentito i nomi di De Maria del Woodpecker, “Pupo” Sovera o di Peppino Manzi e qui si torna al discorso iniziale, ovvero, quanto i giovani siano poco informati della storia della nostra città e quanto poco ne sappiano coloro che hanno sempre Milano Marittima sulla bocca. Il giovane giornalista mi ha citato proprio Guareschi e gli ho raccontato come venisse all’hotel Le Palme, di come tutti i giorni con la moglie andasse al Bar Barbanti e sicuramente alla dirimpettaia Stella Maris. Ancor più sorpreso è stato quando gli ho buttato li che secondo me nel personaggio combattivo di Don Camillo, Guareschi doveva averci messo anche qualcosa dei nostri altrettanto combattivi primi frati francescani. Proprio in questi giorni (Carlino 7.10.2013) a Brescello hanno ripreso la processione che vedeva portare il Crocifisso “parlante” di Don Camillo dalla chiesa al Po. Ricorda molto la nostra processione della Madonna, portata dalla chiesa alla spiaggia. Quanto poi al “referendum” (pag. 56) che i cittadini di Milano Marittima avrebbero fatto per non erigere il campanile della chiesa nuova è pura fantasia! Secondo Rossi, i residenti non volevano deturpare il paesaggio. La realtà è più prosaica: come disse la moglie dell’ing. Berardi, a non volerlo per motivi di sicurezza era l’aeronautica e fu il genero di Palanti insieme ad altre persone a chiedere semmai che non si rovinasse la vetrata posteriore sulla pineta, vetrata che, nel progetto originale il campanile avrebbe coperto. infine mancavano i soldi perché era fallita l’impresa del faccendiere siciliano Giuffré, triste personaggio di cui Rossi e a maggior ragione Geremia si guardano bene di non ricordare. Ancora pura immaginazione quando ricorda i baraccamenti in pineta, abitati da sfollati di guerra e da zingari (notizia che ritroviamo in un libro successivo di una nota giornalista): erano le baracche dei militari addetti all’aeroporto inglese nella pineta! Gli sfollati cervesi, invece, s’erano insediati nelle ville dei “signori”. Che nel Dopoguerra faticarono non poco per riappropiarsene! Insomma, se tali sono le guide storiche su Milano Marittima stiamo freschi! “Coraggio, il meglio è passato” diceva Flaiano.

Il Conte che non conta

Benedetto Autunno

Ci sono cose che non si spiegano, tipo chi fosse la mente malata dello stilista che disegnava i vestiti di “Kiss me Licia”? Oppure, ma che diavolo di lavoro facevano i fratelli Duke per aver tutto quel tempo libero per scorrazzare in lungo e in largo per Hazzard? Altre, invece, si spiegano benissimo. Nel Febbraio del 2013 avevamo perso per il maltempo almeno 200 pini (cfr. Corriere 27.02.2013) e poco dopo un esperto giardiniere Germano Lolli ci aveva spiegato “I pini di Milano Marittima sono destinati a cadere tutti entro pochi anni” (cfr. Voce 01.03.2013) dicendoci perché e percome. Naturalmente fu attaccato, anche nella sua professionalità. Però solo a Pinarella, con l’ultima burrascata, sono caduti altri 100 pini! Forse Lolli aveva ragione? Piove e cadono pini, nevica e cadono pini, tira vento e cadono pini, fra un po’ per tirar giù i pini basterà scoreggiare. Nel 1878 Oscar Wilde scriveva della nostra pineta “nobile foresta di pini” immersa in una “strana quiete”. E’ lontano il 1884 quando a Ravenna ci volle la carica di due compagnie di granatieri per disperdere i “pinetofili”, cioè le oltre 500 persone che al grido di “W il pineto” erano scese in piazza preoccupate che la bonifica ravennate compromettesse anche il verde. Milano Marittima la città giardino dove non solo non c’è più un fiorista, ma dove dovrebbero esserci tante case giardino ed invece ci sono sempre più case cemento: perché ciò che non fa la natura, lo fa la cementificazione. E dire che un tempo la gara fra i ricchi ed i signori era proprio incentrata sul verde! Gli intramontabili parametri del “io ce l’ho più lungo e più grande” si riferivano alle dimensioni dei giardini. Capofila di questa forma-mentis fu il Re Sole. Era più interessato al suo “green” che al suo palazzone, firmò non progetti edilizi ma bensì una piccola guida “La maniera di mostrare i giardini di Versailles”, 300 anni fa, e non abbiamo imparato niente. Su “La Gazzetta di Cervia” n.5 del 1958 già Spallicci scriveva l’articolo-denuncia “Gli italiani non hanno nessun amore per le piante” vedendo i primi abbattimenti a Milano Marittima.

Se in Canada (scrive la Stampa) “si aprono appositamente le funivie per regalare prospettive dall’alto” dei boschi colorati, da noi si sentono continuamente le motoseghe a far da triste controcanto agli uccellini, né possiamo trincerarci dietro ai giardinetti del Maggio in Fiore, che poi sono altri a farci. Almeno il Brasile ha giustificato il +28% di deforestazione con la necessità di costruire strade, ferrovie e dighe: qui sappiamo come sono ridotte strade e stazione dei treni, e si abbatte solo per fare appartamenti. Quando il Ginanni scrisse il suo trattato sulle pinete nostrane nel 700 gli ettari erano 889, oggi sono 260. Quindi, sono favole quelle riguardanti la “pineta secolare” di Milano Marittima dato che anche quel terzo rimasto, secolare non è. Prima mazzata alla pineta fu la deforestazione del 1917 per fornire 95.000 quintali di legname alla III Armata del duca d’Aosta. “Scempio” e “catastrofico” lo definisce Gino Pilandri, perché perpetrato anche senza rispettare le direttive governative. Fra le due guerre mondiali buona parte della (ex) pineta fu messa a reddito “per farne campi di riso e barbabietole” (per i cervesi) come scrisse Palanti. Proprio lui, a più riprese, si preoccupò del pineto “che minacciava di essere distrutto, quindi un merito grandissimo della nostra Società è stato quello di conservare il pineto di Cervia”.  Nel 1932 la Società milanese restituì al Comune tutta la zona delle traverse. Palanti se da un lato difende i bisogni soggettivi dei cervesi, dall’altro è irremovibile difensore dei diritti oggettivi del paesaggio verde. Palanti chiede inoltre che non si speculi, come più tardi dirà Spallicci a fine anni 50, invocando per Milano Marittima “un turismo che non può essere solo speculativo”. Altra grave deforestazione quella del 1945 per organizzare l’aeroporto militare inglese abbattendo 512 ettari di pineta. Altre stragi ci sono state nei decenni successivi con alcune grandi gelate come quella del 1954, o le abbondanti nevicate in pieno periodo pasquale come nel 1978 e nel 1986. Solo dal 1984 s’è parzialmente rimediato con rimboschimenti, e fanno perlomeno sorridere certe iniziative come “Piantiamo un milione di alberi” come quella promessa dai Lions (cfr. Carlino 12.11.11). In un intervista di fine Ottobre, Joel Cottin, curatore dei giardini di Versailles (vittima di una strage di alberi nel 1999) ha detto “Mi ricordo che, abbattuto il boschetto della Girandola, e lasciato per un anno senza cure, aveva perso tutta la sua struttura vegetale. Il primario obbligo del nostro mestiere è lavorare con le stagioni: se ne saltiamo una, è tutto da rifare, ed in un solo anno tutto può perdersi”.

In questo 2013, fra il maltempo d’inizio anno (oltre 200 alberi) e il maltempo di inizio Novembre (oltre 100 alberi) abbiamo perso 300 pini. Pauroso, e non possiamo consolarci coi giardinetti di Maggio, e quel che preoccupa, è che abbiamo davanti ancora 3 mesi difficili climatologicamente. Certo è, che quando ero bambino, il clima era anche più rigido, però queste stragi così continuative non le ricordo.

Il Conte che non conta