L’attentato al teatro di Cervia

Peppino Manzi racconta l’attentato al teatro di Cervia che sconvolse la città nell’immediato Dopoguerra.

Racconterò gli avvenimenti vissuti, che sono ancora chiari nella mia memoria e ciò che si è raccontato in casa, specie nei particolari che riguardarono la nostra famiglia, avendo avuto uno dei tanti feriti gravi.

Loris Dallamora, marinaio nell’isola di Lero, fu fra i primi marinai che rivolsero le armi contro i tedeschi, così vennero considerati dalla storia come i primi partigiani d’Italia. Furono poi fatti prigionieri dai tedeschi ed inviati nei campi di concentramento in Russia. Di lui non si seppe più niente per tre anni. Poi, finita la guerra apparve nella Piazzetta Pisacane, dove abitava la famiglia; era tornato a piedi dalla Russia dopo mille vicissitudini e io lo ricordo lacero, con un fil di ferro a reggere quello che era rimasto dei pantaloni, magro, spaurito, ma vivo.

LA FESTA

Era d’uso da parte dei vari partiti politici, nelle date e ricorrenze festive, organizzare in teatro dei grandissimi veglioni.

In quella data di Capodanno furono i partigiani ad organizzare la festa e mio padre, cameriere di professione, partecipava sempre al servizio del bar. Loris, in gioventù, aveva imparato il mestiere assieme a mio babbo e così fu incaricato di collaborare al servizio bar: in un banco improvvisato sistemarono una botte piena di acqua per sopperire alla mancanza di quella corrente.

L’ATTENTATO AL TEATRO DI CERVIA

Dopo la mezzanotte, i partecipanti alla festa smisero di ballare per riunirsi nei palchi e festeggiare col cibo portato con le sporte… quando si dice che il cibo salva la vita!

Ad un polacco ubriaco (a me risulta solo uno, tant’è che nei giorni successivi al fatto lo vidi passare ammanettato), presentatosi all’entrata del teatro, gli fu rifiutato di entrare e lui arrabbiato si volle vendicare. Andò dalla parte del teatro che da sul viale della stazione e attraverso le finestre lanciò una bomba a mano che uccise tre persone e fece diversi feriti gravi.

Io ricordo anche la giovane che abitava a pochi passi dal teatro e di cui non mi ricordo il nome, che rimase gravemente ferita, si diceva al cuore, tenendo tutti in apprensione per la sua giovane vita. Noi, abitando a pochi passi dal teatro, sentimmo un boato infernale prodotto dalle persone che, prese dal panico, urlavano e fuggivano nelle due direzioni di via XX Settembre. Mia mamma si svegliò e con angoscia fece il nome di mio padre, pensando che come al solito fosse a lavorare in quell’ambiente da cui già si capiva il disastro

Poi istantaneamente rifletté e scoprì con sollievo che suo marito era vicino a lei. Ma tornò subito nell’ansia ricordando che c’era Loris, suo nipote, nel teatro e come una furia prese il cappotto, si coprì e corse contro corrente alla folla impazzita. Lo trovò sul pavimento dietro alla botte tutto pieno di sangue; quella botte gli salvò la vita perché lo riparò da gran parte delle schegge, prendendone comunque di piccole nella gola, nelle gambe e soprattutto una grossa nella coscia.

Mia Mamma vide un ex commilitone di Loris e lo chiamò a farsi aiutare per soccorrerlo, presero l’imposta di una finestra usandola come una barella e caricarono Loris, lo coprì con il suo cappotto e lo portarono all’ospedale, lo adagiarono nel corridoio strapieno di feriti e cercarono di farlo aiutare dai medici: il Dott. Scaravelli, l’infermiera Ida, suor Venanzia e pochi altri infermieri.

Dopo breve, al ritorno di mia madre verso il ferito, Loris con un fil di voce disse ” zia, sto morendo…”, la mamma alzando il cappotto intriso di sangue si rese conto che si stava dissanguando dalla ferita alla coscia. Chiamò un carabiniere nelle vicinanze il quale, resosi conto della gravità della ferita, si sfilò la cintura dei pantaloni e la strinse alla coscia per fermare l’emorragia e lo salvarono. Fu poi soccorso e curato, ma Loris visse sempre con una piccola scheggia rimasta conficcata vicino alla carotide perché ritenevano fosse pericoloso l’intervento per estrarla.

Quando si dice il destino, Loris ha combattuto, fatto la fame nei campi di concentramento, affrontato il freddo del ritorno a piedi dalla Russia e dopo tutto questo stava per morire vicino a casa in un giorno di festa.

Si diceva a quei tempi che i polacchi non erano molto teneri verso la popolazione civile. Anche la sorella di “Trucolo” fu investita e uccisa dalle ruote di uno dei loro camion e mi sembra di ricordare che non fu l’unico caso…

GLI SVILUPPI DOPO L’ATTENTATO AL TEATRO DI CERVIA

L'attentato al teatro di Cervia

Targa commemorativa

Le ragioni di questo attentato non furono mai chiarite. Forse è stato l’epilogo di precedenti scontri fra il contingente di occupazione polacco e la popolazione locale o semplicemente lo stato di ubriachezza molesta, fatto sta che il responsabile fu condannato a morte.

Peppino Manzi