Negli anni 70 il cuore modaiolo e griffato di Milano pulsava normalità, come quello della succursale adriatica. Su Via Montenapoleone s’affacciavano negozi di dischi, un edicola, un antiquario, una salumeria con le scope esposte sulla strada, un fruttivendolo che vendeva primizie (e anche fiori, mio padre ci comprava le violette per mia madre), un negozio di coltelleria e un’agenzia viaggi. Al n°5 c’era già Gucci e poco distante la Harden ed i Vergottini portati in auge da Caterina Caselli, ma convivevano senza tante distinzioni da “salotto buono” ed erano variamente distribuiti ai due lati della strada. Idem in Via San Pietro all’Orto col parrucchiere, la profumeria, la merceria, il tabaccaio, il ceramista, il salumiere, il negozio d’arte sarda, il ristorante degli artisti ed anche un albergo frequentato dalle… escort… che comunque non turbava il vicino negozio di abbigliamento classicissimo che forniva Casa Savoia, o l’esposizione dei mobili Flexa. Nella “Milano al mare” degli stessi anni 70, la situazione commerciale era pari a quella meneghina, si trovavano rappresentate anche qui tutte le tipologie commerciali. Con la possibilità addirittura di scegliere, giacché ciascuna era presente con più negozi: se non andavi alla Coop alla Rotonda potevi andare da Bertasi; se non ti piaceva la carne di Roli c’era quella di Battistini; se non trovavi qualcosa da Rasini potevi andare da Tutto per la Casa; se non ti piacevano i vestitini di Mondo Piccino andavi dalla sorella di Oddone Penso; se ti stava antipatico il giornalaio del Canalino c’era Neddo. Neddo! Un nome che a Milano Marittima si pronuncia da 50 anni, che non è né un diminutivo né un soprannome, ma il nome mutuato da quello di un amico di famiglia sardo. Neddo me lo ricordo da quando sono nato, ancora quand’era nel negozietto vicino all’ingresso del cinema Arena Mare, con vicino il barbiere e la profumeria, coi giornalini esposti su assi di legno e la stufetta, un must nei negozi di Milano Marittima privi di riscaldamento. Col Bar Centrale, Bertasi, Roli ed il lattaio dov’è ora lo Zouk, Neddo era una delle tappe obbligate della passeggiata mattutina con mia madre. Negli anni 80 si trasferì in Viale Ravenna fra il bar Verdi ed il cinema Arena Pineta per poi finire, insieme ai suoi cagnetti, con l’edicola in Viale Ravenna proprio davanti al bar Cristallino. In un recente articolo, l’amico Luca Goldoni ha ricordato di Neddo le “sedie volanti” ed il costante impegno. Parole Semplici, dietro cui c’è tanta storia di Milano Marittima molto poco conosciuta da chi non visse quegli anni e quelle atmosfere. Per promuovere i libri Neddo ha avuto diverse location, alcune se le è scelte, altre ha dovuto cercarsele. Come quando fu fatto sloggiare con gli incontri con gli autori dagli inquilini d’un condominio infastiditi da quelle presenze certo non paragonabili a quelle del circo notturno della Milano Marittima odierna! Eppure, nell’Estate 2013 di la del marciapiede s’è fatta tanta musica, disturbando gli incontri, tanto che per l’Estate 2014 Neddo forse si sposterà. Ormai s’è capito, a Milano Marittima sono élites e qualità a doversi spostare e lasciare il passo. Varie librerie della catena Librincontro hanno addirittura chiuso, come a Faenza e Cesenatico. “Cesenatico ha una clientela medio-bassa di famiglie che comprano per i figli e stanno attente al prezzo, Faenza invece ha un pubblico CHIC TIPO QUELLO DI MILANO MARITTIMA che compra le nuove uscite e volumi di moda” (Voce del 14.11.2013). Evidentemente per qualcuno più che avere clienti acculturati è meglio averli CHIC. Comunque per Milano Marittima sono clienti-turisti, essendo la nostra città aperta solo in stagione, mentre la clientela “bassa” assicurava a Cesenatico un’apertura tutto l’anno! Quando chiude una libreria mi preoccupo, come quando cucina mia madre; e mi preoccupo di più se queste boiate dello chic, vip, glam e fashion vengono applicate ai libri: i libri sono amici, e gli amici sono amici, punto. Quanto alla presunta clientela chic di Milano Marittima, non la vedo; invece mi dispiacerebbe non vedere più Neddo.
Il Conte che non conta