nino giunchi Archivi - Il blog di Cervia e Milano Marittima

Quando Giulio Cesare passò da Cervia

Scritto da Nino Giunchi

E così si ritorna a lanciare i dadi sul famoso Rubicone e penso sia ora di far sentire anche la voce degli uomini del sale ovvero dei cervesi. Sembrerà una voce nuova questa per tutti ma non certamente per i salinari cervesi che, da sempre, chiamavano quel ponte romano che era fra il Casello del Diavolo e il prato della Rosa dove anticamente era posizionata l’antica città di Ficocle, il “Passo di Cesare”. Anni fa a Montaletto di Cervia fu trovato un ponte romano simile al sopracitato. Anche questo, come quello al centro delle saline, è scomparso per l’incuria dell’uomo. L’antichissima città di Ficocle, da annoverare fra le più antiche della costa nord-adriatica, sembra fosse nata prima di Ravenna e Spina. La sua distruzione risale, secondo lo storico ravennate Agnello, al 709 voluta dall’imperatore romano d’Oriente Giustiniano II. Ma questa è un’altra storia. All’incirca 3500 anni fa, nella zona cervese in riva al mare e vicino alla futura città di Ficocle, vi era un antico villaggio dell’età del bronzo e certamente vicino ad un fiume che a me piace chiamare Rubicone. Nel 1968 gli archeologi ravennati Roncuzzi e Veggiani hanno portato alla luce diversi fondi di capanne in cotto e una enorme quantità di vasellame di diverse misure non tornito. Cultura Terramare o Appenninica? Nella zona non esistevano strade Nord-Sud e gli spostamenti avvenivano lungo i corsi dei fiumi nella transumanza verso la costa o magari con canoe monossili come ne sono state trovate nel fiume Po. Gli anni passano ed ecco arrivare la penetrazione romana verso Nord prima con la Via Emilia del 189 a.C. e successiva centuriazione del territorio con la fine della stessa delimitata dalla Via Decumano ora Via del Confine che era prospiciente alla laguna chiamata allora Palude Ficoclense. (Nella Biblioteca Classense di Ravenna vi sono centinaia di pergamene, di compravendita di saline o terreni nella Palude Maior, nella Palude Minor e in località Tagliata, dell’VIII sec). La palude era difesa dal mare da un continuo cordone di dune di sabbia a volte comunicante col mare. Nella parte alta del territorio verso Nord-Ovest vi è già una città grande e fiorente, sul fiume Rubicone, chiamata Ficocle davanti alla laguna che si estende fino oltre a Sala il cui toponimo non lascia dubbi. Il territorio si è ulteriormente popolato e necessita di un’altra strada più diretta fra Rimini e Ravenna. Viene costruita nel 132 a.C. la Via Popilia che parte da Rimini e arriva fino ad Altino. Arrivata nelle vicinanze di Ficocle abbandona la duna per raggiungere la città dove si incrocia al centro con la via che porta a Cesena. (in Via Casette, fino a poco tempo fa era possibile vedere il basolato che veniva in superficie sul piano di campagna e che poco più avanti si incrociava con la via Decumano).

Quando Giulio Cesare passò da Cervia

Ed eccoci al nostro Giulio Cesare. E’ un po’ che è a Ravenna, Municipio Romano governato dai galli, con la fedelissima e agguerrita XIII Legione di ritorno dalle Gallie. Deve recarsi a Roma per rinnovare il Consolato delle terre da lui conquistate, che era in scadenza, ma sembra che non abbia una gran fretta. Scrive a Pompeo che presto sarebbe andato a Roma per rinnovare il Consolato e questi gli ricorda che nessuno può entrare in territorio romano armato. Il confine era delimitato dal fiume Rubicone che era attraversato nella parte ad est dalla Via Popilia e dove la città di Ficocle era in pratica un avamposto romano nella così detta terra di nessuno. Cesare risponde a Pompeo che lui sarebbe andato a Roma se anche lui fosse stato disarmato. Cesare ha già un suo piano ma aspetta per non rincorrere in ulteriori pericoli che le due flotte navali, quella di Ravenna e quella di Miseno, vengano messe in disarmo come succedeva tutti gli anni con l’arrivo dell’inverno. Ed ecco sparire un poco alla volta da Ravenna tutti i legionari a cui Cesare aveva detto di partire alla volta del Rubicone e di fare in modo di non dare nell’occhio e che li avrebbe raggiunti nottetempo. Cesare si comporta come se niente fosse e gira per Ravenna cambiato con abiti da città ed è invitato a cena dal Reggente. E’ quasi notte fonda quando raggiunge la sua legione. E qui inizia la diatriba di noi comuni mortali. Penso a quelli che considerano Cesare uno sprovveduto che per andare a Roma in dolo sarebbe passato, magari con la fanfara, dalla Via Emilia e che se anche fosse giunto a Rimini indenne non sarebbe assolutamente passato dalla Gola del Furlo dove bastava un manipolo di soldati per bloccare una legione di 5000 uomini e trecento cavalieri. L’unica strada poco frequentata, specialmente in inverno era la Via Popilia ed è quella che Cesare ha percorso. Giunto a Ficocle una parte della legione ha seguito la via del Decumano e l’altra ha continuato sulla Via Popilia. Le due strade si congiungevano alla fine della laguna.

La fine di Ficocle

Scritto da Nino Giunchi

Vi sono le tracce di un villaggio di 3.500 anni fa con fondi di capanne e diverso vasellame di varie misure non tornito. Si trovava nelle vicinanze della pista di Go-Kart “Happy Valley” a Pinarella di Cervia. Quel villaggio col tempo si è sviluppato ed è nata ricca e potente Phycocle il cui nome sa tanto di greco. Ricordata fino al 709 come Ficocle e facente parte dell’Esarcato Ravennate. Questa appartenenza segnerà la sua fine.

La fine di Ficocle

L’arcivescovo ravennate Felice e l’esimio Giovannicio si ribellano alle imposizioni del Papa Giovanni VII succube delle imposizioni di Costantinopoli. Il Papa si rivolge subito all’imperatore del Sacro Romano Impero d’Oriente Giustiniano II. Ed ecco arrivare a Ravenna da Costantinopoli una nave grossa. Talmente grande che i ravennati fanno a gara per vederla. L’Arcivescovo Felice e Giovannicio con molti notabili ravennati sono i primi a salire e vengono imprigionati. Giunti a Costantinopoli si salva solo l’arcivescovo Felice seppur accecato. Tutti gli altri vengono trucidati. La notizia arriva a Ravenna dove prende il potere il figlio di Giovannicio, Giorgio. Questi uccide l’Esarca Teofilato poi avvisa tutte le città della Pentapoli che presto sarebbe arrivata la vendetta di Giustiniano II. Ed ecco che Giustiniano ordina a Teodoro Calliopa, Generale dell’Armata Imperiale, che era di stanza in Sicilia, di assalire Ravenna e le altre città ribelli. Viene messo tutto a ferro e fuoco e Ficocle viene completamente rasa al suolo. Questa storia viene raccontata dallo storico Agnello nel Libro Pontificale Ravennate scritto nel 840. Agnello si vantava di avere fra i suoi avi proprio Giovannicio e quando è stata scritta c’era già la nuova città di Cervia, quella che conosciamo oggi. Anche il cervese Pignocchi la ricorda nel 1750 come anche il Sindaco cervese Bellucci nel 1876.

Quando Cervia si spopolò e i salinari vennero schiavizzati

Scritto da Nino Giunchi

Non fu la peste e neppure il terremoto. I Savoia riuscirono dove ne Papi, Re o Dogi erano riusciti. Questi avevano già incamerato, nel 1862, le 47 saline della C.A. Potevano i Savoia condividere le saline cervesi con la nobiltà papale che era ancora proprietaria della quasi totalità di queste?

Quando Cervia si spopolò e i salinari vennero schiavizzati

Nella torretta in primo piano vi erano i maniglioni che accendevano e spegnevano l’elettricità proveniente dalla centrale della Bova dove erano i generatori di energia elettrica

Quando Cervia si spopolò e i salinari vennero schiavizzati

Si scava la darsena per il posizionamento del plinto per i nastri trasportatori

In uno stato di Diritto non si potevano espropriare Saline e Miniere come dice De Gasparis nel suo libro del 1900 IL SALE E LE SALINE. Ed ecco saltare fuori un “però” con due leggi. D.M. n° 752 del 17 febbraio 1907 e D.M. n° 2037 del 2 luglio 1908. I Savoia mettono in atto, come maggiori proprietari, la più grossa trasformazione mai avvenuta nelle saline cervesi: canali pensili, aumento dei Morari, nastri trasportatori per la reposizione del sale nei magazzini, nuova presa a mare con due pompe di sollevamento dell’acqua (Questa contestata dall’Ing. Capo del Comune con un suo progetto molto meno dispendioso).

Quando Cervia si spopolò e i salinari vennero schiavizzati

Fu la prima pompa di sollevamento acqua della Bova e funzionava con un motore a gas

Quando Cervia si spopolò e i salinari vennero schiavizzati

Il Magazzino Darsena visto dall’interno

La cifra di questa trasformazione è enorme e va divisa fra tutti i proprietari. Le ultime saline di proprietà furono vendute il 19 febbraio 1910. Se ne andò tutta la nobiltà, i notai, i diversi fattori, i direttori e i contabili della salina ma anche molti facchini rimasero poi senza lavoro. Anche il proprietario di tutte le burchielle fu costretto a venderle e perse la ragione, perché gli pagarono una cifra irrisoria di tutto il capitale che aveva investito. Quella volta rimanemmo anche senza Vescovo…

L’ATTO DI VENDITA DELLE SALINE

Quando Cervia si spopolò e i salinari vennero schiavizzati

Quando Cervia si spopolò e i salinari vennero schiavizzati

Perché l’ospedale di Cervia ha il campanile?

Perché l’ospedale di Cervia ha il campanile? Per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare ai tempi dell’occupazione francese.

ospedale di cervia

Il campanile dell’ospedale di Cervia

Il 14 giugno 1797 gli Agostiniani furono invitati a lasciare la chiesa e il convento di San Giorgio (da qui il nome dell’ospedale).

Il 9 agosto 1797 la Municipalità Chiede all’Amministrazione centrale dell’Emilia un ospedale per gli infermi e viene indicato il convento e la chiesa degli Agostiniani e come rendita le tenute dell’Abbazia di Classe nella Ragazzena.

ospedale san giorgio di cervia

L’entrata dell’ospedale fu spostata nel lato sinistro visibile nella foto

Il 17 novembre 1797 l’Amministrazione Centrale dell’Emilia autorizza “l’ospedale degli infermi” e lo dota delle seguenti rendite che dovrebbero assommare a 1.000 scudi annui: la salina denominata “Ospitaline”, la conserva della neve, le possessioni nella Ragazzena dei monaci di Classe che erano: S. Mauro. S.Ubaldo. S. Placido I e II. S. Maria Maddalena più la Romagnola e altre due attigue all’ex convento di San Giorgio e l’altra a Cannuzzo, infine un’altra tenuta a Pisignano detta della Ss.ma Concezione.

Col tempo poi vi furono diversi lasciti di soldi e di terreni e l’ultimo terreno venduto fu nel 1976 ed era situato al di là del fiume Savio dalla parte di Ravenna.

C'era una volta

1992

Non molto tempo fa si potevano vedere come testimonianza due lapidi murate nell’entrata dell’Ospedale e non si hanno notizie di dove poi siano finite con la trasformazione dell’entrata in bar. Forse l’Assessorato alla Cultura saprebbe rispondere a questa domanda?

ospedale san giorgio di cervia

La vecchia entra dell’ospedale dove erano murate le due lapidi

lapide del 1741

La lapide del 1741

lapide 1772

La lapide del 1772

Ricerche e testo di Nino Giunchi

Chiesa San Martino Prope Litus Maris

Scritto da Nino Giunchi

Ricordo l’inaugurazione del Museo Archeologico Cervese voluto dal Sindaco Roberto Zoffoli, a cui vanno i ringraziamenti miei e dei cervesi essendo riuscito a valorizzare una parte della nostra storia. Quello in cui non era riuscito neppure il nostro storico cervese ed ex sindaco Gino Pilandri negli anni ’82/’83, quando era totalmente sicuro di fare un museo nel Rubicone che mi fece togliere, dalla cantina dove erano custoditi, tutti gli attrezzi delle saline che mio babbo, come tanti altri salinari (forse non volevano credere che, quella volta, sarebbero stati buttati via 2300 anni di storia) li avevano conservati.

chiesa san martino prope litus maris

Pianta della chiesa del V° secolo con segnati i resti dei mosaici.

Così tirai fuori paloncelli, paniere, gavaricasse, carrioli barelle, piron e forabus che misi in bell’ordine nel cortile sicuro che qualcuno li sarebbe venuti prendere. Passarono settimane, mesi, poi qualcuno si prese la briga di dirmi che il museo non si sarebbe più fatto ma non mi disse il perchè. Allora mi venne in mente quello che diceva qualche anno prima il maestro Ascione: da quando a Cervia comanda la legione straniera non si capisce più niente.

chiesa san martino prope litus maris

L’ira mi mise nelle mani un mannarino e in un’ora feci fuori 2300 anni di storia. Posso solo immaginare lo stato d’animo di Gino Pilandri. Ma torniamo a San Martino Prope Litus Maris. Una basilica di 38 per 19 metri con mosaici policromi dimenticata per oltre mille anni poi fatta dimenticare ulteriormente dal 1989 fino ad oggi.

chiesa san martino prope litus maris

All’inaugurazione del museo ho sentito molti giovani chiedersi che cosa e dove fosse quella chiesa. Bene, i mosaici sono stati staccati nel 1989/’90 hanno girato le scuole di S.Andrea, le cucine di Tagliata, l’hotel Leopardo di Milano Marittima, il ricovero Cavallino Bianco e infine il Magazzino Comunale dove attualmente si trovano tredici lacerti, mentre tre sono stati portati a Ravenna e restaurati e forse saranno posizionati nel nostro museo. Per gli altri tredici nel magazzino speriamo bene.

chiesa san martino prope litus maris

chiesa san martino prope litus maris

Per concludere: se una città che vive di turismo fa finta che queste cose non esistano e non le valorizza, sarebbe ora che quelli che la sfruttano si mettessero le mani in tasca non solo per prendere ma anche per dare. Detto cervese: quand c’un i nè un s’nis spend. Dedicato a tutti quelli che da oltre ventanni, finita la stagione turistica, puntualmente, si riuniscono per pensare come allungarla. Cun la penza pina us fa fadiga a pinsè.