Questo articolo su Peppino Manzi è nato dai bellissimi ricordi della nostra lettrice Fulvia Fusaroli. Buona lettura.
Peppino Manzi era il titolare del bar Cluny, anzi del Cluny bar, elegante locale di Milano Marittima, che biancheggiava fra la Perla e il Nuovo Fiore, specializzato in aperitivi e drink after dinner.
I tavolini, classici, sempre perfettamente apparecchiati con tovagliette stirate e inamidate e non mancavano mai i fiori freschi. I camerieri indossavano giacche bianche o rosse, mentre Peppino, anzi il signor Peppino, portava sempre l’abito nero, come sua moglie, che accoglieva sobriamente i clienti indossando gonne e camicette classiche, mai appariscenti, senza scosci e scollature, le calze trasparenti e calzature a tacco basso.
IL DRESS CODE DA RISPETTARE
Del Cluny mi colpiva fin da ragazza questa eleganza ovattata, quasi si entrasse in un bar di una vecchia nave da crociera, dove veramente ti saresti sentito a disagio in pantaloncini e maglietta.
Infatti non ci si andava mai a sedere in ciabatte e prendisole, ci vestivamo da aperitivo e ci sedevamo verso le 19, quando la nostra Milano Marittima restava abitata dalla sola popolazione indigena e chi stava in albergo non si fermava, perché era l’ora di prepararsi per la cena.
Eravamo un gruppo di habitué, di età diverse, accomunati dal piacere di sentirci raccontare ogni aperitivo che ci veniva servito come non mi è mai più successo.
Si iniziava con dei tramezzini al salmone o paste sfoglie, vol au vent e qualche piccola frittura.
Questo accadeva 25 anni fa, quando altrove non esisteva nulla oltre le patatine e le olive.
C’era poi anche l’happy hour, mai sentito dire prima. L’aperitivo fino alle 19 costava la metà e confesso che negli ultimi tempi ne approfittavamo spesso perché in effetti da Peppino si spendeva abbastanza. Si spendeva, ma ne valeva la pena.

Peppino Manzi e la moglie Luisa
L’APERITIVO A MILANO MARITTIMA
La specialità era il Bellini e in alternativa il Fragolino. Avanzava un cameriere col vassoio di bicchieri nei quali era versata una centrifuga di fragole fresche o di pesche bianche e un altro cameriere seguiva con la bottiglia di champagne, che poi veniva versato con un rituale in varie fasi e mescolato con cura.
Ricordo molto bene anche il Kyr, crème de cassis, un liquore francese al ribes, allungato con lo champagne e mescolato accuratamente. Il dopo cena era completamente diverso, venivano accese ovunque le candele per creare la giusta atmosfera e cambiava il menù: bevande after dinner, splendidi Alexander e Irish Coffee, oppure rum e liquori sopraffini, in alternativa grandi coppe di gelato molto più belle che buone.
Ma la vera attrazione serale era il pianista, Nigel, bellissimo nero che incantava tutti con la sua bravura, tanto che la folla si assiepava ad ascoltarlo creando quell’imbarazzo di chi è seduto e si sente osservato. Si narra che Nigel, il quale si alternava fra il Cluny e il Quisisana di Capri, fosse un impenitente playboy, corteggiatissimo da splendide ragazze e anche da molte “sciure” che, parlando fra loro, favoleggiavano con vari eufemismi le sue prestazioni .

Esterno del Cluny Bar
Il Cluny divenne ad un certo punto anche un ristorantino e, dopo, fu completamente snaturato, travestito da locale latinoamericano, poi chiuse.
Erano sopraggiunte le nuove generazioni, sia nella gestione del locale che nell’utenza, iniziavano gli street bar.
La Perla veniva ceduta e al posto di quella piccola oasi furono aperti un un negozio di abbigliamento e un’agenzia immobiliare.
Non so dove si trovino ora Peppino e Luisa, mi piacerebbe che leggessero questo racconto e che sapessero che qualcuno li pensa e li rimpiange.
Quel piccolo Harry’ s Bar era uno dei fiori all’occhiello della nostra Milano Marittima, che a quest’ora, mentre sto scrivendo di lei, vive il suo consueto delirio del sabato, per poi essere ripulita e ricivilizzata alle otto di domattina, da quella piccola schiera di spazzini e domestiche che con lo spinello tolgono ogni traccia dello scempio del week end.
Fulvia Fusaroli
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