Quando l'amore finisce
Ennio Nonni

Nel suo scritto “Milano Marittima dopo Palanti” (catalogo della mostra sull’artista a pag. 41) Ennio Nonni scrive coraggiosamente “E’ prevalsa la facile saturazione delle aree. Soprattutto è ingiustificabile che non si sia riusciti a tutelare fin dal dopoguerra in modo rigoroso, con norme analoghe a quelle dei centri storici, quell’enorme patrimonio edilizio rappresentato dalle villette che punteggiavano il piano Palanti”. Ville che, ormai, restano solo nei ricordi o nelle foto e cartoline d’epoca buone per le mostre, distrutte per fare condomini, appartamenti, hotels, uffici, anche supermercati (vedi villa Josephina di Viale Roma), come se allora non ci fossero tanti altri spazi utilizzabili per costruire e lasciare intatte le vecchie villette storiche (Sul massacro di alcune ville cfr. articolo sul Corriere del 23.2.2013). Però le famiglie degli stessi fondatori milanesi non si dimostrarono granché attaccate alla “loro” Milano Marittima. Se non subito, è un fatto documentato che dopo pochi decenni dalla fondazione, diversi avevano già ceduto le ville. Mentre visitavo la mostra del Palanti in coppia con sua nipote Paola, che mi faceva da guida d’eccezione alle opere di suo nonno, le chiesi come mai all’epoca le 15 famiglie coinvolte nella società fondatrice non si fossero anche riunite in un’associazione, un club che cementasse il legame fra di esse, e fra esse e la località. Da che mondo è mondo, ed in tutto il mondo, le famiglie che sono state all’origine della fondazione di una città o di una comunità hanno teso a unirsi fra loro per mantenere vivo il ricordo, ed il proprio prestigio: pensiamo ai discendenti della Mayflower nei Stati Uniti oppure in Italia alla Magnifica Comunità Fiammazza o alle 90 famiglie all’origine della bonifica di Cento (FE) che ancora oggi controllano il territorio. Fa specie che all’epoca nessuno dei fondatori abbia pensato a riunirsi in un club quando, oggi, tutti specie i “forestieri” fanno a gara per dirsi “di” Milano Marittima. In ogni città le famiglie che si reputano élite si associano in club tipo i Rotary ed i Lyons. Da qui si vede come già alla fondazione, alla nostra città sia mancato un forte sentimento identitario e purtroppo non s’é mai più sviluppato. Ho fatto la stessa domanda alla cara Luisa Bianchi, anche lei nipote dei fondatori, e mi ha riposto con un aneddoto che la dice lunga sulla questione. Nel 1992 per gli 80 anni della fondazione, Monsignor Ravasi (erede dei Redenti) celebrò a Milano una Messa cui furono invitati famigliari e discendenti dei fondatori di Milano Marittima. i quali invece si seguire la funzione, presero a parlottare intensamente fra loro, suscitando la stizza di Ravasi “Allora io mi fermo!” disse. Praticamente non conoscendosi affatto, o cercando di riconoscersi, cercavano di sfruttare l’occasione davvero unica per riallacciare i già deboli e lontani legami fra le loro famiglie. Fa riflettere che, ancora oggi, solo due famiglie legate a fondatori (in realtà sarebbero tre, ma il legame dei Majani coi Radaelli non è diretto ma acquisito), cioè i nipoti di Palanti e di Bianchi abbiano casa a Milano Marittima, ma non è per nessuna delle due la villa storica edificata dagli avi (le ville Bianchi furono demolite per farci l’Hotel Flora e villa Palanti è di proprietà di un noto albergatore). Galli, per esempio, si disfece praticamente subito della propria villa. Dopo solo un decennio la cedette alle suore Orsoline di Verona, che ce l’hanno ancora e divennero così la primissima presenza religiosa a Milano Marittima. Altre ville d’illustri fondatori come Redaelli, Tempini e Redenti, vennero demolite per fare condomini: l’attico di Redenti era il più bell’appartamento della città, ed oggi è proprietà d’una notissima famiglia di produttori di pasta. Il “disamore” era incentivato anche dai cattivi rapporti con l’amministrazione locale. il periodico “La Costa Verde” n.3/4 Aprile 1934 già dava notizia della soluzione della “annosa vertenza” fra fondatori e Comune di Cervia, tramite l’intervento dell’energico Prefetto, in cui si disponeva anche la restituzione di ben 2 milioni di metriquadri di terrenti al Comune.

L’archivio della Stella Maris custodisce un bellissimo album fotografico con immagini che vanno dal 1924 al 1938, donato da una famiglia di fondatori. Viene da chiedersi perché abbiano deciso di disfarsi di un ricordo (un ricordo ma anche un documento) così prezioso. Sembra un po’ la classica situazione in cui, finito un grande amore, si cerca di cancellarlo buttando via o distruggendo le foto che ce lo ricordano. E perché poi lasciarlo alla parrocchia e non, come sarebbe stato più logico, depositarlo presso l’archivio storico comunale? Rispondere sinceramente a tali domande può darci l’idea del vero clima che allora si respirava in città, e che non era affatto quello che oggi ci vogliono propinare libri ed articoli scritti ad hoc per darci una “vulgata” che è pura fantasia. Del resto anche quando si va in fallimento, si restituiscono i libri contabili. Qui si è restituito un album fotografico, e sfogliandolo trasuda emozione e nostalgia per un’avventura mai pienamente realizzata e della quale, sia in memoria, sia in opere e manufatti, resta poco o addirittura niente.

Il Conte che non conta

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