La storia di Cervia e Milano Marittima - Scopri la storia della nostra località.

Milano Marittima in attività

Una carrellata fra le vecchie attività di Milano Marittima che dopo decenni sono tuttora presenti nell’offerta della località.

Il mio primissimo articolo (del 2012) intitolato Attività scomparse a Milano Marittima (puoi leggerlo qui) continua ad essere frainteso da molti che non ci trovano certe attività, le quali, appunto, non essendo scomparse non avevano motivo di figurare. Ecco, quindi, qualche riga proprio per fare una carrellata sulle attività storiche di Milano Marittima in generale, oserei dire quelle sopravvissute a tanto macello degli ultimi 20 anni. Ovviamente potete integrare, anzi, dovete farlo se ve ne vengono in mente.

Attività storiche di Milano Marittima

Negozi in rotonda primo maggio negli anni ’50

LE ATTIVITÀ STORICHE DI MILANO MARITTIMA

A Milano Marittima abbiamo ancora il bar tabacchi ristorante Il Cacciatore, la tabaccheria Sedioli Franco, il Bar Riviera, Foto Santarelli, boutique Julian, Prati calzature, Giotto ricami fiorentini (anche se loro sono poi di Prato), gioielleria Guardigli, Foto Weber del barone Apperti pronipote della scrittrice Elvira Apperti Orsini (la seconda Grazia Deledda), boutique Monika, confezioni Motta, Ceramiche Lucchi in piazzale Napoli, boutique Niagara della famiglia storica dei Ricci già con la boutique Big Ben, la farmacia Morgagni, il Bar Centrale (oggi Harley), la piadina di viale Ravenna e quella del Canalino, Arte Africana, Beautiful Shop, Bolle di Sapone (l’unico negozio di giocattoli rimasto a Milano Marittima dei tanti che ce ne erano), boutique Francis (Franzin per noi, Francesco Nanni, anche campione di biciclette) e l’edicola del Canalino, nata come spaccio di giornaletti.

Attività storiche di Milano Marittima

Il Bar Riviera in Viale Matteotti è un’attività storica di Milano Marittima per eccellenza

ALCUNE FONDAMENTALI PRECISAZIONI

Certe attività resistono con lo stesso nome ma hanno avuto gestioni diverse, come il Bar Centrale, altra cosa sono i bar Riviera e Cacciatore da sempre in mano alla stessa famiglia, anche se magari figli o nipoti sono subentrati a genitori o nonni. Non so dire se sono rimaste ancora tante o sono poche, però vedo che in generale non abbiamo avuto delle grandi aperture, grandi new entry, nel senso che c’è stata una massiccia e progressiva omologazione, perlopiù tendente ad un unico settore commerciale che è l’abbigliamento.

Abitare o essere Milano Marittima

A destra il Bar Centrale, oggi Harley Bar, in Viale Matteotti a ridosso del Canalino

Fra l’altro è dura tener vivo un paese quando hai pochi negozi e tutti praticamente uguali concentrati attorno alla Rotonda Primo Maggio. Una volta si girava in tutti i negozi, adesso se non devi comprare un vestito cosa vieni a fare a Milano Marittima? Una volta c’erano tanti negozi di abbigliamento, per carità, ma avevano precise connotazioni di stile e di offerta di clientela (c’erano pure i negozi dei miei genitori, La tartana e La Tartana 2, che tutti sanno aver fatto la storia commerciale di Milano Marittima). La Pantani era quasi accanto alla Rossana, ma nessuno le avrebbe confuse. Adesso passi davanti a file di vetrine praticamente tutte uguali nella proposta commerciale. Una volta c’era uno spettro molto più ampio. Motta, Julian e La Tartana, tre negozi di abbigliamento, tre proposte distanti anni luce fra loro, giusto un esempio dei tanti che potrei proporre.

Poi basti dire che nella tanto decantata Città Giardino, da parecchi anni, non esiste più neanche un negozio di fiori da quando chiuse la Todoli in Viale Romagna, non vi pare strano? A me molto. A maggior ragione, quindi, onore a chi sta resistendo perché mi danno ancora un po’ di illusione di essere a casa mia.

Il Conte Ottavio Ausiello Mazzi

Milano Marittima da non crederci

Quotidiani profumati e pensioni con coperte di cashmere sono solo alcuni dei fatti incredibili della Milano Marittima di una volta.

Ci credereste se vi dicessi che neanche la regina Elisabetta riceveva ogni mattina la rassegna stampa profumata e invece noi a Milano Marittima si? E c’era chi veniva da lontano a comprare il quotidiano profumato all’edicola di Neddo Cicognani. E che profumo! Tabacco di Harar, che ai tempi costava 80.000 lire e tuttora la boccetta da 50ml costa circa 100 euro. Questo era essere davvero glamour, pirla di oggi che sfogliate come oro colato la boiate di Fantasy Life…

CI CREDERESTE SE VI DICESSI…

…che un notissimo ristorante, negli anni ’80 era considerato una normalissima pizzeria senza tante pretese e fantasie? …che pensioni familiari come la Lucciola, di fianco al Bar Riviera, avevano una cucina straordinaria da far invidia ai ristoranti di Borghese e Barbieri? Fra l’altro quest’ultimo ha iniziato all’hotel Michelangelo di Milano Marittima.

milano marittima

Pensione Lucciola

…che una notissima boutique, su cui tanto poi si è ricamato a fine anni ’70, era poco più di una semplice stockista che vendeva Benetton e jeans West? …che negli anni ’60 c’erano pensioni con le costose coperte di cashmere? …che all’hotel Geranio alla Settimana Traversa, gestito assai signorilmente dalla storica famiglia Focaccia, si pagava più che al Mare Pineta?

milano marittima semaforo verde?

Albergo Geranio

…che la zona più “in” di Milano Marittima eravamo noi del “Piccolo Parioli” e non certo il centro? …che eravamo un paese abitatissimo in inverno e con tanti negozi aperti di ogni genere, Coop compresa?

LA VERITÀ SU MILANO MARITTIMA

Da anni vi stanno raccontando solo balle su Milano Marittima e questo blog è qui proprio per raccontare la realtà che fu e che è oggi la nostra località, anche se ad alcuni dà parecchio fastidio e spesso ci attaccano o cercano di screditarci. Essendo famiglie storiche, che ben conoscono Milano Marittima e i suoi personaggi fin dalla fondazione nel lontano 1912, sappiamo perfettamente ciò che diciamo e documentiamo con prove alla mano. Ma è solo raccontando la verità, e non nascondendosi dietro a favole raccontate ai turisti, che potremo rimettere in piedi la nostra località e farla tornare allo splendore di un tempo.

In araldica si dice che “chi più ha meno ha e viceversa”, cioè chi sfoggia stemmi complicati e sovraccarichi di figure come rebus e sciarade, in realtà è di fresca nobiltà e come tutti gli arrivisti cerca di mascherare le sue origini. Mentre le antiche casate hanno tutte stemmi semplicissimi. Così a Milano Marittima, dopo gli anni ’80 hanno iniziato a costruire una certa mitologia, ovviamente di comodo per alcuni, che purtroppo ha avuto molta fortuna a scapito della realtà pregressa.

Il Conte Ottavio Ausiello Mazzi

Il racconto del sopravvissuto alla strage del Caffè Roma

La strage fascista avvenuta al Caffè Roma nel racconto di Eugenio Cecchi, figlio di un sopravvissuto.

Ringraziamo Eugenio Cecchi per l’accurato racconto della strage del Caffè Roma, una delle pagine più nere di storia cervese. (qui, invece, trovate la ricostruzione dei fatti da fonti letterarie).

ANTEFATTO

Dopo l’8 Settembre del 1943, mio babbo Cecchi Giovanni, scappando da Udine dove faceva il servizio militare in Artiglieria, era tornato a Cervia, a piedi e con mezzi di fortuna fra cui anche una bicicletta senza copertoni, viaggiando quasi sempre di notte per sfuggire ai posti di blocco e ai rastrellamenti dei tedeschi, con un suo commilitone di Russi.

Rimase nascosto per diversi giorni a Lido di Savio in un capanno di frasche in pineta usato come ricovero per le pecore, era poi tornato a Cervia per aiutare Eugenio Tassinari, che aveva sposato sua sorella ed era rimasto vedovo prima della guerra con tre figlie, nel mulino e nel forno che aveva in Via Ospedale

LA STRAGE DEL CAFFÈ ROMA

eccidio del caffè roma

Il Caffè Roma in Piazza Garibaldi a Cervia

La sera di Lunedì 20 Marzo si erano dati appuntamento al Caffè Roma per prendere un caffè prima di andare a lavorare al forno. Mio babbo, entrando da Porta Cesenatico, aveva notato un movimento di automezzi fascisti e dei militi delle Brigate Nere che stazionavano nel Corso presso l’albergo Allegri. Pensò ad un’azione di controllo dei documenti, ma tutti e due, in quanto fornai, avevano il permesso per circolare anche di notte ed erano abbastanza tranquilli. Solo in seguito venne a sapere che, in circostanze peraltro mai chiarite, c’era stato un conflitto a fuoco nel quale aveva trovato la morte il milite fascista cervese Meldoli, e che da alcune ore era arrivato a Cervia un gruppo di fascisti delle Brigate Nere provenienti dalla Rocca delle Camminate, con quali compiti e scopi anche questo non è mai stato chiarito.

Né prima di entrare, né quando era già all’interno del Caffè Roma ricorda di aver sentito spari o detonazioni, quindi non trova credito la versione che attribuisce la morte del milite fascista al lancio di una bomba a mano ad opera di ignoti. Una ricostruzione dei fatti dice che i fascisti, per reazione all’uccisione di un loro milite, avvenuta poco prima nel Corso, decisero di effettuare una immediata rappresaglia. Si diressero verso il Caffè Roma e, aperta la porta, spararono una raffica di mitra a ventaglio dentro il locale.

Ad essere colpiti furono Eugenio Tassinari (Eugenio e non Gino come riportato da “Cervia ore 6” a pag. 95) Aldo Evangelisti, Attilio Valentini e Gianni Venturi.

eccidio caffè roma cervia

Mio babbo, molto esile di corporatura, che si trovava al banco del bar con a fianco Tassinari, rimase miracolosamente illeso ma fu travolto dal corpo di Tassinari e cadde a terra fra i morti e i feriti e coperto di sangue, e lì rimase in quanto fu creduto morto.

I fascisti, almeno due, fra cui Gino Casalboni, l’autore della strage che mio padre conosceva di fama come “una canaja” (una canaglia), sempre dalla porta, esplosero una seconda raffica per finire eventuali feriti, poi, dopo aver chiuso la saracinesca, si allontanarono. Solo allora mio babbo, scavalcando i morti, riuscì a fuggire passando da una porticina sul retro del locale che dava in un piccolo passaggio interno. Una volta fuori dal locale sentì le voci dei fascisti che erano ancora presenti in forze nella piazza e nel Corso, vide anche un automezzo che perlustrava le strade del centro, quindi non riuscì a fuggire verso la sua abitazione che era sulla statale che andava a Cesenatico, ora Via Caduti per la Libertà, ma si diresse verso il forno e si nascose nel ripostiglio sul retro del mulino, affacciato sul canale, dove conservavano delle fascine di legna coprendosi con queste.

Anche nei giorni successivi rimase nascosto nel timore di essere rastrellato dai fascisti che effettuavano i controlli sui movimenti delle persone che entravano e uscivano dal centro di Cervia. Fu aiutato da sua sorella Maria che, non vedendolo tornare e informata su quanto era successo, era andata a cercarlo al forno e gli portò poi dei vestiti puliti e del cibo. Maria faceva l’infermiera nel vicino ospedale ed era collega di Ida Paganelli, la staffetta partigiana che aveva contatti con gli antifascisti locali, inoltre aveva il lasciapassare per poter circolare liberamente sia di giorno che durante il coprifuoco.

L’AGGUATO AI CUGINI FANTINI

In attesa di poter trovare il momento opportuno per lasciare Cervia era ancora nascosto nel ripostiglio quel famoso giovedì 23, quando i fascisti uccisero i cugini Fantini che da Castiglione stavano arrivando in bicicletta per partecipare ai funerali delle vittime del Caffè Roma.

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Da sinistra a destra Armando e Nino Fantini

Era il primo pomeriggio quando sentì delle urla, delle grida, poi una voce su tutti che gridava in dialetto “Ammazzali tutti” poi una lunga raffica di mitra seguita da altre più corte. Dal luogo dove era nascosto mio padre non aveva una buona visuale, ma a sua memoria i due Fantini furono uccisi all’altezza dello stallatico che si trovava dove ora c’è Shanga Tattoo & Piercing. Il gruppo dei fascisti che controllava il ponte era disposto sia sulla sponda verso Ravenna che sull’altra, ma a sparare fu il gruppo che era sulla sponda ravennate. Solo a tarda notte, costeggiando il Canale fino alle Saline, riuscì ad allontanarsi e a raggiungere Savio dove trovò rifugio. Tornò a Cervia solo dopo l’estate, quando ebbe la sicurezza che nessuno lo aveva riconosciuto e i fascisti non lo stavano cercando.

A suo dire Meldoli, il milite fascista ucciso, non era un fanatico violento o una persona che si era macchiata di particolari crimini, lo definì un poveraccio che per campare era andato “nella Repubblica”.

Eugenio Cecchi

Il Fascismo nasce e muore a Milano Marittima

Il grande impatto che il Fascismo ha avuto su Milano Marittima durante il Ventennio è ulteriormente confermato da una recente scoperta del Conte.

Il Fascismo, si sa, nasce a Milano. Lo sanno tutti. Ma praticamente nessuno sa, e certamente questa curiosità mi verrà rubata per essere inserita come tante altre volte in libri e giornali senza citarmi, che Milano del mare tanta parte ha in questa storia, dall’inizio alla fine.

L’IMPRONTA DEL FASCISMO A MILANO MARITTIMA

Chi entra a Milano Marittima da Ravenna lo fa dal Viale Nullo Baldini, questo il nome dal dopoguerra. Prima era Viale Benito Mussolini, il secondo, visto che già ne aveva uno Cervia centro, poi divenuto Viale Roma.

viale Dux milano marittima

Il Viale Nullo Baldini quando era il Viale Dux

A Milano Marittima c’erano le ville dei gerarchi più famosi come Balbo (qui la storia della sua villa) e Grandi ma non solo, o dei loro eredi, come i Muti la famiglia di Ettore.

Hotel Terminus

La villa di Italo Balbo in Viale Gramsci. Oggi Hotel Terminus.

Poi le grandi colonie, anzi la più bella colonia del regime, quella del fascio di Varese, mai completata dopo gli eventi della Seconda Guerra Mondiale, come il progetto dell’autostrada per collegare Milano Marittima e Cesenatico al termalismo di Castrocaro.

colonia varese milano marittima

La Colonia Varese in Viale Matteotti. Oggi è in stato fatiscente.

Oppure lo stupendo progetto polifunzionale dell’architetto Vietti Violi del 1931 che avrebbe arricchito Milano Marittima di strutture sportive di livello olimpionico. Lo Stadio dei Pini, fatto con la donazione del Duce in tempi record, almeno quello.

Il terreno donato dal Duce dove sorgerà lo Stadio dei Pini.

La chiesa Stella Maris, allora Santa Maria della Vittoria, partita da una cappellina ancora oggi esistente a lato, sui circa 20 mila metri quadrati regalati dal Duce ai suoi cari francescani nel 1938.

UN NOME STORICO NASCOSTO TRA LE PANCHE DELLA CHIESA

Proprio alla Stella Maris, la mia chiesa, che da anno scorso non è più parrocchia a sé, nessuno sa che c’è il ricordo degli esordi del Fascismo a Milano Marittima. È una delle targhette sui banchi dove ho pregato, negli ultimi anni anche in qualità di Cerimoniere, per mezzo secolo. Un nome ed un cognome carichi di storia: Giuseppe Blanc.

fascismo giuseppe blanc

La panca intestata a Giuseppe Blanc nella chiesa Stella Maris di Milano Marittima

Giuseppe Blanc, morto nel 1969, è stato l’autore della famosissima canzone fascista Giovinezza, praticamente l’inno del regime. La figlia era diventata la moglie di un altro importante fascista e altresì fondatore di Milano marittima. Giovinezza, ovvero l’alba del Fascismo, poi è arrivata anche la fine, e tutti sanno che è partita dal famigerato Ordine del Giorno Grandi.

fascismo giuseppe blanc giovinezza

Ho la testimonianza di un anziano vip di Milano Marittima (ma non faccio il nome per non farmi rubare pure quello), allora bambino, che mi ha assicurato di aver visto proprio Dino Grandi far tappa nella villa di Milano Marittima prima di andare a Roma per il Gran Consiglio che portò all’arresto del Duce. Il quale Duce fu poi ucciso per ordine e responsabilità del generale Cadorna che fatalità aveva pure lui villa a Milano Marittima e addirittura vicino a quella di Balbo.

Il Conte Ottavio Ausiello Mazzi

L’eccidio del Caffè Roma a Cervia

La ricostruzione dell’eccidio del Caffè Roma a Cervia e dell’assassinio dei cugini Fantini ad opera dei fascisti.

Precisiamo che il seguente testo non è opera del blog Cervia e Milano Marittima ma abbiamo deciso di pubblicarlo per intero in quanto è il più completo mai scritto sull’eccidio del Caffè Roma. Il testo è stato scritto da Enrica Cavina e pubblicato su Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia.

GLI ANTEFATTI

Nel marzo del 1944 fu costituito il Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale, ultimo di tutta l’Emilia Romagna, cui aderì ogni partito antifascista locale. Ai comunisti fu attribuito il compito di mantenere i collegamenti con il Cln dell’Alta Italia poiché erano gli unici a disporre di un’organizzazione efficiente. L’istituzione del Cpln fu determinante per risollevare il morale di molti partigiani che, nella precarietà di un’organizzazione ancora parziale e nel limitato margine d’azione, tendevano a sbandarsi. Allo stesso tempo significò il progressivo appianarsi dei contrasti sorti tra i vari partiti antifascisti che venivano tutti chiamati a organizzare i propri quadri militari formando gruppi Gap. Fino ad allora, il peso della lotta di Liberazione era ricaduto sul solo partito comunista che, nonostante la fedeltà dei propri membri, si trovò ad affrontare consistenti difficoltà organizzative dovute alla scarsa preparazione politica e militare degli uomini.

Questo è lo scenario in cui avvengono l’eccidio del Caffè Roma e l’uccisione dei partigiani Fantini (da cui prende il nome la via e la scuola primaria). In un rapporto redatto per il comitato militare provinciale partigiano nella notte tra il 20 e il 21 marzo, il compilatore scrive a matita testuali parole:

«Questa notte, e cioè dal 20 al 21 marzo, una nostra GAP venuta a contatto con fascisti di Ravenna ed elementi locali i quali si trovavano a Cervia per fare arresti uccideva un famigerato fascista cervese (Meldoli Guido). Le forze avversarie che si trovavano sul posto non ardivano accettare il combattimento ma vigliaccamente andavano al Caffè Roma e sparavano su pacifici clienti. Tre nostri compagni uccisi e qualche altro cliente ferito leggermente. Si fa presente che durante la giornata apposite staffette anno avvertito tutti che sarebbe stata una brutta sera, ma qualcuno è stato testardo e purtroppo à pagato di persona. La popolazione è indignata. (nessuna perdita tra i gappisti)».

Lo stesso giorno, alcune ore prima, Magnati Giacinto, comandante del presidio della GNR della Rocca delle Camminate, decide di recarsi a Ravenna al fine di prelevarvi il maresciallo dei carabinieri Orru per motivi politici. Dispone la propria partenza con un auto e un camioncino accompagnato da alcuni militi. Con lui vi sono Ranieri Walter, Gelosi Aldo e altri due militi. Nel corso del viaggio fa salire sull’auto, a Predappio, Casalboni Gino, che presta servizio presso il comando tedesco locale.

Giunti a Cervia, mentre il camioncino prosegue verso Ravenna, Magnati e gli altri si devono fermare per riparare l’auto cui si è bucata improvvisamente una gomma. Il caposquadra Casalboni insieme al milite cervese Meldoli va in cerca di un meccanico. Mentre attendono che costui si alzi da letto e scenda ad aprire, Meldoli si dirige verso una persona che si è fermata sotto il portico per accertarsi della sua identità. Si sentono due colpi d’arma da fuoco e Meldoli, fatti pochi passi, cade esanime. Sono le 21.15. Un quarto d’ora prima l’attenzione degli abitanti di Cervia era stata catturata dall’esplosione di una bomba. L’umaz’, Casalboni Gino, è furioso per l’assassinio di Meldoli e con il mitra armato si dirige verso il Caffè Roma.

L’ECCIDIO DEL CAFFÈ ROMA

eccidio del caffè roma

Dove si trovava il Caffè Roma

È vestito in borghese ed è accompagnato da un milite. Sa che in quel Caffè situato sotto i portici in Piazza Garibaldi a Cervia convengono abitualmente persone che non sono favorevoli al regime fascista. Il Casalboni, affacciatosi alla sinistra della porta dell’esercizio spara una raffica di mitra, quindi esclama “Vigliacchi comunisti, vi voglio ammazzare tutti” e spara altre due raffiche. Dall’interno del Caffè non si risponde. Allora Casalboni entra ed intima di alzare le mani. “Fuori vigliacchi!” dice a quelli che si sono gettati a terra e si sono riparati sotto il biliardo. I feriti emettono lamenti. Uno chiama “Mamma!”, “Tra mezz’ora non la chiamerai più!” risponde Casalboni.

Un cliente del Caffè Roma si qualifica maestro, “Maestro di comunisti” gli rinfaccia Casalboni. Rivoltosi al milite che lo ha accompagnato gli ordina di finirlo. Il milite alza l’arma in posizione di sparo ed il maestro si getta a terra. Gualdi Danilo che pure è nel Caffè domanda al Casalboni “Che cosa fai qui? Sono Gualdi, uno dei primi fascisti. Ti conosco”. Ed il Casalboni risponde “I comunisti hanno ucciso un nostro compagno ed io lo voglio vendicare”. Sul pavimento del Caffè Roma giacciono tre morti. Uno è Valentini Attilio, autista, di sentimenti socialisti. Della somma di 42 mila lire che tiene in tasca saranno rinvenute 500 lire circa. Il secondo è l’ex fascista Venturi Giovanni, portalettere. Il terzo è il meccanico Evangelisti Aldo, di sentimenti comunisti. Il mugnaio Tassinari Eugenio, mazziniano, è ferito gravemente all’altezza della seconda costa. L’intervento chirurgico non sarà efficace, morirà dopo quattro giorni. Restano feriti altresì Panzavolta Luigi, di sentimenti socialisti, l’ex fascista Barana Tacito, Tandoli Pietro di sentimenti comunisti e l’ex fascista Abbondanza Antonio.

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Le vittime dell’eccidio del Caffè Roma a Cervia

Circa mezz’ora dopo l’eccidio del Caffè Roma, Capra Carlo, segretario politico di Cervia, con altri militi, entra nell’abitazione dell’esercente del Caffè nella quale trova solo la moglie, Succi Libera Nella. Capra è lì per rintracciare il marito della donna. Nella vede un sergente a lei sconosciuto puntare il mitra contro suo figlio di due anni, minacciando di sparare se non rivela dove sia il marito. La risposta non arriva e il Capra inizia a esaminare le carte d’identità delle persone decedute. Con Capra c’è Savorini Alvaro che «pretende di far dichiarare a un ferito che la prima raffica di mitra è partita dall’interno del caffè». Sono avvertite anche le autorità di Ravenna. Il capo della provincia Bogazzi, dispone il ricovero del ferito grave Tassinari all’ospedale del capoluogo.

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I MARTIRI FANTINI

Quando Battistini Luigi giunge a Cervia due ore e mezza dopo con l’autoambulanza della Croce Rossa, nota la presenza di una trentina di militi della futura brigata nera e della GNR di Ravenna fra i quali Andreani Giacomo. Il gruppo rionale ‘Muti’ di Ravenna ha infatti ricevuto una telefonata che annuncia l’uccisione del fascista repubblicano Meldoli. Babini Giovanni, dirigente della locale federazione e comandante della squadra d’azione di Ravenna, ordina una spedizione punitiva a scopo di rappresaglia da compiersi sulla popolazione civile. Partecipano alla spedizione Fabbri Paolo, gli stessi Poletti e Babini e altri brigatisti di Ravenna, fra cui Andreani. Solo quando giungono a Cervia apprendono che la rappresaglia c’è già stata e, per ordine di Babini, ritornano a Ravenna.  Intanto i militi di Magnati diretti verso Ravenna, non vedendo arrivate la sua automobile, ritornano a Cervia. Il gruppo così si ricompone.

Sono passate le 23 quando Sbaragli Vincenzo di Carpinello sente dei colpi violenti alla porta. Non vuole aprire e sente che gli viene sfondato l’uscio del capannone. Sono cinque militi, fra i quali Ranieri e Gelosi. Si fermano a dormire e a mangiare. Conversando rivelano a Sbaragli che stanno tornando da Cervia dove hanno avuto un morto, ma in compenso hanno accoppato sette od otto persone in un Caffè e aggiungono che sarebbero tornati a Cervia il giorno dei funerali e ne avrebbero ammazzate delle altre. Il 23 marzo a Cervia avrebbero dovuto aver luogo i funerali dei tre uccisi nell’eccidio del Caffè Roma ma si stabiliscono misure di ordine pubblico che vietano l’effettuazione delle onoranze funebri e si organizza, per il 21 marzo, un servizio di controllo alle porte della città allo scopo d’impedire l’ingresso di persone armate. Tra le “misure di ordine pubblico” viene effettuata anche una sparatoria da parte di militi per terrorizzare la popolazione ed impedirle di prendere parte alle esequie.

Verso le 15 dello stesso giorno una pattuglia GNR incontra circa 40 borghesi che viaggiano a gruppi per recarsi ai funerali dei sovversivi uccisi il giorno 20 a Cervia. La pattuglia ferma e perquisisce il primo gruppo. Nel secondo un individuo getta una pistola a terra e il milite Tabanelli Primo detto Scianten spara uccidendo il possessore dell’arma e un altro individuo che portava in tasca una bomba a mano. Gli altri 6 individui del primo gruppo vengono fermati e messi a disposizione dell’autorità giudiziaria. I giovani uccisi sono i cugini Fantini Nino di 24 anni, autista e Fantini Armando di 23 anni, bracciante, ambedue di Castiglione.

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Da sinistra a destra Armando e Nino Fantini

I loro corpi sono trasportati dalla polizia mortuaria, insieme a quelli degli uccisi nell’eccidio del Caffè Roma, direttamente al cimitero. Nessuna ripercussione sull’ordine pubblico.

I RISVOLTI GIUDIZIARI DELL’ECCIDIO DEL CAFFÈ ROMA

Casalboni, l’assassino di Caffè Roma, sarà giustiziato a Castellana il 26 aprile 1946, primo ad essere condannato a morte secondo quanto riferito alla moglie Amadei Iolanda dal CLN di Busto Arsizio cui si era rivolta nel corso delle ricerche del marito. Le vittime del Caffè Roma non avevano alcuna relazione con l’uccisione di Meldoli e si trovavano casualmente al bar vicino al luogo in cui era stato ucciso il milite.

Savorini Alvaro imputato oltretutto di aver causato volontariamente la morte delle vittime del Caffè Roma. Con sentenza del 20/12/1945 la corte lo giudica colpevole del delitto di collaborazione, in concorso di attenuanti generiche e lo condanna quindi alla pena della reclusione per anni trenta. La Corte suprema di Cassazione con sent. 27.9.946, ha annullato la sua stessa sentenza nei confronti di Savorini Alvaro ed ha rinviato il nuovo giudizio alla Corte d’assise sez speciale di Firenze.

Secondo la ricostruzione del giudice Scalini Paolo, la strage non sarebbe una reale rappresaglia per l’uccisione del Meldoli. Costui sarebbe stato ucciso successivamente. Al riguardo si rileva soltanto la presenza di un documento di origine partigiana, apparentemente scritto poco dopo l’evento che conferma invece le dinamiche descritte da alcuni testi fascisti e dalla ricostruzione dei carabinieri.

LA TESTIMONIANZA DI UN SOPRAVVISSUTO

A distanza di alcuni mesi dalla pubblicazione di questo articolo siamo riusciti a raccogliere la preziosa testimonianza di Eugenio Cecchi, figlio di un sopravvissuto che si trovava quel giorno al Caffè Roma. Potete leggerla seguendo questo link.

Thomas Venturi